miércoles, 22 de julio de 2015



QUEI SEMI CONGELATI CHE SALVERANNO LA TERRA

Quattro milioni e mezzo di varietà sono conservate a 18 gradi sottozero nel ghiaccio artico delle isole Svalbard

Una nuova spedizione di semi da conservare entra nella Svalbard Global Seed Vault 
In uno dei luoghi più remoti della Terra, a centinaia di miglia a nord della Norvegia e altrettante a sud del Polo Nord, nel Mar Glaciale Artico, si trova, nascosto da una coltre di ghiaccio sull’isola di Spitsbergen, nell’arcipelago delle Svalbard, un luogo da fantascienza, ma realissimo. La Svalbard Global Seed Vault, o banca mondiale dei semi: l’arca di Noè - l’hard drive, se preferite - di tutta la nostra agricoltura. All’interno della montagna Plataberget, in un caveau ipertecnologico lungo 120 metri, a una temperatura fissa di -18° Celsius (lo standard internazionale raccomandato), ci sono infatti tutti i semi di tutte le piante del pianeta, selvatiche comprese. Conservati, si spera, per sempre. Quattro milioni e mezzo di varietà di colture stoccabili, per una capacità massima di 2,5 miliardi di semi.

Piante rarissime a -18 gradi
Al momento, il deposito contiene più di 860 mila campioni, i cui semi sono congelati in buste di carta stagnola a tre strati sigillate a caldo per impedire il passaggio dell’umidità, e poi riposte in contenitori di plastica rigida per file e file di scaffalature di metallo. Un backup del backup, perché quasi tutti i Paesi oggi possiedono banche dei propri, e a volte altrui, semi - l’Economist ne ha stimate 1.750 -, ma a Spitsbergen c’è una copia di tutto. Una copia di riserva di tutte le piante del mondo, nel caso qualcosa accada alla singola gene bank. Così c’è la rarissima fragola delle falde del vulcano Atsonupuri, nelle isole Curili della Russia, 150 chilometri a nordest di Hokkaido; c’è il pomodoro rosa tedesco, portato nello Iowa da un immigrato bavarese nel 1883; c’è il Phaseolus costaricensis, fagiolo selvatico dal Sud America in grado di resistere alla muffa bianca, che minaccia i legumi tipici della piramide alimentare sudamericana.

Contro guerre e catastrofi
Un impianto, quello di Svalbard (online è possibile anche una visita interattiva), nato dai timori, ma soprattutto dalla lungimiranza, di un gruppo di scienziati - guidati in quel momento da Cary Fowler, tra i massimi esperti mondiali di agraria - per preservare la biodiversità agricola in caso di catastrofi naturali, ma anche di episodi più prosaici come guerre civili, crisi alimentari, incendi, allagamenti, incidenti vari, malgestione e tagli ai fondi: eventi che occorrono, purtroppo, con regolarità. La banca dei semi delle Filippine, per esempio, è stata prima danneggiata dalle inondazioni e poi completamente distrutta da un incendio; quelle dell’Afghanistan e dell’Iraq sono andate perse nei recenti conflitti. L’obiettivo di Svalbard, quindi, è dare al mondo un’altra chance, l’ultima. «Una polizza assicurativa», come la definisce il Global Crop Diversity Trust-Gcdt (Fondo mondiale per la diversità delle colture, voluto anche dalla Fao e finanziato da organizzazioni come la Bill & Melinda Gates Foundation, oltre a numerosi governi), «per permettere alle generazioni del futuro di affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e del boom demografico». O per dirla con l’Expo, nutrire il pianeta.

Norvegesi in prima linea
Risultato di un accordo tra il governo norvegese, il sopracitato Gcdt e il Nordic Genetic Resource Center (NordGen, sforzo cooperativo dei Paesi nordici per la sostenibilità, che dal 1984 conservava, in una miniera di carbone abbandonata sulla stessa isola, decine di migliaia di esemplari, tra cui anche una collezione di piante africane), la Svalbard Global Seed Vault è stata inaugurata nel 2008, e realizzata grazie a uno stanziamento di 9 milioni di dollari del governo di Oslo. La stessa Norvegia, insieme al Gcdt, ne finanzia l’operatività. L’intera superficie dell’impianto, gestito da NordGen, è di circa mille metri quadri. Il sistema di sicurezza è imponente, e ogni contenitore con le buste dei semi funziona come la cassetta di sicurezza di una banca (salvo che custodirvi i semi è gratuito). I semi appartengono alla singola banca depositante, l’unica che abbia diritto di accedervi (ma solo ai propri); il database è curato da NordGen.

L’isola ideale
L’isola di Spitsbergen è considerata ideale dagli esperti per la conservazione dei semi grazie all’irrilevante attività tettonica e la presenza di permafrost (terreno ghiacciato da almeno due anni). La posizione a 130 metri sul livello del mare garantisce protezione dall’acqua; il carbone locale fornisce l’energia necessaria per mantenere i semi a -18 °C. Le basse temperature assicurano scarsa attività metabolica, ritardando l’invecchiamento dei semi. Il permafrost che circonda la struttura manterrà la temperatura costante qualora l’impianto energetico dovesse subire un guasto. Se accadesse, infatti, passerebbero almeno alcune settimane prima che la temperatura, nel caveau, salga a -3 °C, cioè quella del sostrato di roccia arenaria. Un tempo sufficiente a intervenire.

Un pezzo di storia dell’umanità
C’è spazio anche per la poesia. Sulla porta d’ingresso della struttura, da cui parte il corridoio che porta al caveau, c’è un’installazione di prismi, specchi e acciaio inossidabile dell’artista norvegese Dyveke Sanne. Obiettivo: permettere di individuare il sito al buio e a distanza e, al contempo, sottolineare la qualità della luce artica. L’installazione riflette la luce polare nei mesi estivi, mentre in inverno 200 cavi in fibra ottica regalano all’opera d’arte un colore turchese. Il Crop Trust rimarca l’importanza di preservare le sementi del pianeta. «Se l’agricoltura non si adatta ai cambiamenti climatici», scrive, «non potrà farlo neanche l’uomo. Quando le condizioni climatiche mutano occorre creare subito nuove specie e varietà di piante che possano prosperare nel nuovo ecosistema: sia esso più caldo, più freddo, o più umido. Per questo l’accesso a un materiale genetico quanto più vario è fondamentale. Studi recenti indicano ad esempio che la produzione di mais in Africa potrebbe diminuire di oltre il 25% entro il 2030. Se ciò dovesse accadere, ad affrontare una crisi alimentare non sarebbe solo l’Africa, ma a cascata tutto il pianeta. Per questo i selezionatori di piante devono sviluppare al più presto nuove varietà resistenti alla siccità e alle alte temperature». Così, l’arca di Noè dei semi, osserva il Washington Post, che a Svalbard ha dedicato un video-reportage, contiene un pezzo di storia dell’umanità. L’evoluzione delle piante attraverso i secoli, e il «racconto» dell’interazione con l’uomo attraverso gli incroci. Nel 2005, uno studio propedeutico alla realizzazione del caveau determinò che questo avrebbe potuto conservare la maggior parte dei semi per centinaia di anni. Alcuni, addirittura, per migliaia di anni. La speranza di tutti, ovviamente, è che non avremo bisogno di farvi ricorso.

FONTE: di Costanza Rizzacasa d’Orsogna www.corriere.it 29 maggio 2015 | 09:40
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